Ex - CAMBIARE LA SOCIETA', CAMBIANDO SE STESSI

30 gennaio 2006

Confini



Guardare un po’ di storia al cinema è sempre una bella esperienza. “Munich” di Spielberg è un’opera d’arte, fatta con mestiere e passione. Fatta per tutti gli ebrei del mondo. Disgustose le recensioni che il film ha avuto negli Stati Uniti (http://www.capital.it/trovacinema/scheda_critica.jsp?idContent=300083 nella parte finale della pagina).
Proprio quest’ultime mi hanno fatto riflettere. Come le parole di una signora dietro di me, al cinema, che, alla notizia della morte di un palestinese in un ospedale di Parigi a seguito delle ferite riportate dopo un attentato israeliano, ha detto – Bene! – con un tono come dire “abbiamo vinto noi”. Era forse ebrea e sentiva così forte lo scontro di “civiltà”?
Oggi leggo degli striscioni di alcuni nazisti che tifano per la Roma. Il corto circuito è inevitabile.
Come allo stadio, Israele e Palestina. Come nelle nostre famiglie, Israele e Palestina. Come nelle nostre case, Israele e Palestina. Come nella nostra società tutta, Israele e Palestina.
Ovvero confini. Confini dappertutto. Quando c’è un confine, c’è divisione. Prendere l’una delle due parti significa farne gli interessi e, inevitabilmente, capita di entrare in conflitto con l’altra. Ed ecco che il confine si rafforza. Certo, è più facile per la nostra cultura stare dentro ad un confine. Ma è possibile, non facile, cancellare i confini stabiliti, facendo esempio nelle nostre vite quotidiane, almeno un po’, un passo alla volta.
Tutto l’esistente è giusto, è buono, ha diritto di esserci, va accettato. E bisogna tendere a questo e non all’opposto. E’ quasi utopia, ma che senso ha non incamminarsi perché la strada sarà ripida e tortuosa, restando invece fermi o, peggio, tornare indietro? Tutti abbiamo le capacità per arrivare a destinazione: non tutti lo capiscono, alcuni si incamminano, pochissimi arrivano in fondo.

24 gennaio 2006

Lentamente muore


Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Pablo Neruda - poeta Cileno

20 gennaio 2006

Chi è?


La cosa che mi ha sempre messo a disagio guardandolo erano questi occhi profondamente rilassati. "Ma com'è possibile?" - mi sono chiesto. Non sono riuscito mai a vedere ira, ideologia, amore, esaltazione, soddisfazione. Niente. Il vuoto.
Forse è proprio il vuoto che mi mette a disagio.



Vi segnalo un bel link:
http://www.pentagonstrike.co.uk/pentagon_it.htm#Main

14 gennaio 2006

Faccia





Non ho resistito: ho messo la facciona del Portatore Nano di Democrazia (definizione del sommo Beppe Grillo). Penso non ci sia bisogno di alcun commento. Come ha usato la propria facciazza in questi giorni sul caso Unipol è già esplicativo di suo.
Non credete?

10 gennaio 2006

L'urlo ("l'eroe")

Fabrizio Quattrocchi: un uomo, come tanti, morto barbaramente in Iraq, per mani sconosciute di gente col volto coperto. Aveva un'ideale: la patria. Discutibile, ma credeva in qualcosa. O almeno lo si suppone dalle parole che hanno detto di lui chi lo conosceva bene. Era un dipendente di una ditta che si occupa di sicurezza, un lavoratore. La sua mansione in Iraq era ambigua, forse illegale.
Tutto qui.
Speculateci sopra, soliti noti, da destra e da sinistra. Ma non aspettatevi che non ci sia chi urla per questo, che non ci sia chi soffre per la vostra incapacità. Vorrei provare compassione anche per voi, ma, per adesso, non ci riesco.
E urlo.