Confini

Guardare un po’ di storia al cinema è sempre una bella esperienza. “Munich” di Spielberg è un’opera d’arte, fatta con mestiere e passione. Fatta per tutti gli ebrei del mondo. Disgustose le recensioni che il film ha avuto negli Stati Uniti (http://www.capital.it/trovacinema/scheda_critica.jsp?idContent=300083 nella parte finale della pagina).
Proprio quest’ultime mi hanno fatto riflettere. Come le parole di una signora dietro di me, al cinema, che, alla notizia della morte di un palestinese in un ospedale di Parigi a seguito delle ferite riportate dopo un attentato israeliano, ha detto – Bene! – con un tono come dire “abbiamo vinto noi”. Era forse ebrea e sentiva così forte lo scontro di “civiltà”?
Oggi leggo degli striscioni di alcuni nazisti che tifano per la Roma. Il corto circuito è inevitabile.
Come allo stadio, Israele e Palestina. Come nelle nostre famiglie, Israele e Palestina. Come nelle nostre case, Israele e Palestina. Come nella nostra società tutta, Israele e Palestina.
Ovvero confini. Confini dappertutto. Quando c’è un confine, c’è divisione. Prendere l’una delle due parti significa farne gli interessi e, inevitabilmente, capita di entrare in conflitto con l’altra. Ed ecco che il confine si rafforza. Certo, è più facile per la nostra cultura stare dentro ad un confine. Ma è possibile, non facile, cancellare i confini stabiliti, facendo esempio nelle nostre vite quotidiane, almeno un po’, un passo alla volta.
Tutto l’esistente è giusto, è buono, ha diritto di esserci, va accettato. E bisogna tendere a questo e non all’opposto. E’ quasi utopia, ma che senso ha non incamminarsi perché la strada sarà ripida e tortuosa, restando invece fermi o, peggio, tornare indietro? Tutti abbiamo le capacità per arrivare a destinazione: non tutti lo capiscono, alcuni si incamminano, pochissimi arrivano in fondo.